Pubblichiamo la relazione della volontaria Milena Nebbia, al termine della sua esperienza a Fosarato, nella scuola Pierre Rainibao
I risvegli malgasci mi mancheranno immensamente, non tanto per il reiterato canto del gallo sotto la finestra alle quattro del mattino, che sembra quasi dirmi: che fai, sei ancora a letto, qui qualcuno è già in piedi…ma perché lungo il breve tratto di strada che mi porta da casa, a Varisoa, alla scuola Pierre Rainibao, il mio nome rimbalza sulle bocche dei bimbi che incontro: Milen, Milen, mi sento chiamare e salutare con gioia e mentre incrocio lo sguardo con loro e vedo i visi sorridenti, capisco che un obbiettivo della mia missione nella Grande Isola l’ho raggiunto: con la mia sola presenza, con quella parte di bambina che ancora c’è in me, che ama il gioco, la smorfia di nascosto, il contatto fatto di carezze, probabilmente sono riuscita a dare ai bimbi una dose di allegria che spero si porteranno dentro per un po’. Per loro non so bene cosa sono stata, sicuramente non mi hanno vista come una maestra (le maestre non le chiamano per nome) piuttosto una compagna di giochi, una zia che consola nel momento del pianto, una dispensatrice di caramelle, colei che ha portato i cartoni animati in classe, quella che ama gli animali. Ecco, tutto questo, tutti loro, mi mancheranno. In questi mesi sono stata una presenza costante a scuola e nella casa – ufficio di Fosarato: mi conoscono tutti, anche perché sono l’unica bianca da queste parti, l’unica bianca che va al mercato, che prende il loro taxi brousse, che cammina per arrivare in centro…Sì, penso che la sola presenza sia stata già fondamentale, anzi, sarebbe bello che ci fosse sempre qualcuno a rappresentare l’associazione, magari attraverso una sorta di servizio civile… In classe ho svolto l’attività soprattutto con i bimbi della materna e quelli della classe undicesima che hanno circa cinque anni: per me è stata una sfida perché sono una docente di scuola superiore e ho avuto quasi sempre studenti delle ultime classi, quindi quasi maggiorenni. All’inizio, quindi, non è stato facile, anche perché le maestre si aspettavano che io fossi subito operativa. Il problema è stato anche linguistico, ho studiato un po’ il francese, ma qui parlano prevalentemente il dialetto malgascio della zona…ma dopo un po’ si è arrivati ad intendersi. Dopo le prime settimane, quindi, ho cominciato a capire come rapportarmi e cosa poteva piacere ed interessare ai bambini; quindi alternavo la proiezione di video educativi e ludici con il supporto ai singoli bimbi nelle attività scolastiche. Le maestre delle elementari meriterebbero un monumento: io mi lamento dei miei studenti, ma con i bimbi la gestione è ancora più complessa, ci vuole molta pazienza, attenzione…Le maestre, come detto, sono brave, certo mancano di aggiornamento, specie le più anziane, alcune non conoscono nemmeno bene il francese, non hanno idea che alcuni bambini non sono stupidi ma semplicemente dislessici o disortografici o discalculici, come abbiamo capito in Europa da qualche decennio. Nelle classi della scuola elementare non ho potuto svolgere, come avrei voluto, un corso di italiano per bambini perché le maestre hanno pensato che interferisse troppo con la programmazione e comunque non mi sarebbe rimasto il tempo per il resto. I corsi di italiano, quindi, sono stati rivolti agli adulti, cioè alle maestre e ad altro personale che ruota attorno alla scuola. Il materiale che avevo portato dall’Italia si è rivelato prezioso perché qui, nelle due o tre librerie cittadine, ci sono solo dei dizionari francese-italiano e null’altro. Le lezioni abbiamo pensato di svolgerle al mattino per chi poteva, come il responsabile della scuola Jean-Paul e il cuoco della mensa, Rado, più saltuariamente. Il pomeriggio era poi dedicato ad alcune lezioni individuali a persone esterne alla scuola e, terminata la scuola, alle quattro e mezza, alle maestre, tutti i giorni tranne il mercoledì pomeriggio perché la scuola è chiusa. Alcune maestre si sono rivelate molto portate e molto interessate all’apprendimento, altre un po’ meno, ma questo è in genere normale nei corsi di lingua, specie dopo una giornata di lavoro. Spero comunque che qualcosa rimanga, forse dopo la mia partenza potrebbero continuare, anche sporadicamente, con un docente malgascio, per non perdere tutto il lavoro fatto. Ma avrebbero anche bisogno di lezioni di francese, informatica…Nel mese di maggio abbiamo organizzato un’uscita didattica con la classe settima della scuola e a giugno la giornata dell’ambiente per sensibilizzare i bambini su questo tema di grande attualità anche in Madagascar, che ha un ecosistema naturale unico, che andrebbe preservato, prima che sia troppo tardi. Le maestre, come detto, fanno del loro meglio, hanno bisogno di stimoli, così ho pensato di animare alcune lezioni grazie all’aiuto di alcuni amici che ho conosciuto, un artista e un docente dell’Alliance Francaise, che hanno svolto delle lezioni sulla creatività, sulla possibilità di esprimere il proprio talento e sul canto. Ogni nuova presenza in classe è positiva per i bambini, che notoriamente sono come spugne, assorbono tutto ciò che viene loro proposto. Le lezioni di italiano poi continuavano anche dopo il rientro a casa, verso le cinque e mezzo, con le figlie della mia famiglia ospitante, quella del responsabile della scuola, che attualmente insieme alla moglie, gestisce anche una casa-famiglia con dieci bambini. Anche il rapporto con queste due ragazze di tredici e sedici anni è stato molto intenso e si è rivelato di reciproca utilità, sono convinta che riusciranno ad imparare bene la lingua se continueranno anche dopo la mia partenza a studiare.
Ecco, dovendo fare un bilancio direi che ho fatto molto, specie in una fase post-Covid in cui il turismo fatica a riprendere, gli stranieri, specie qui a Fianarantsoa sono ancora pochi e ci sono molti giovani che hanno bisogno e sete di contatti nuovi, stimolanti, essendo questa una realtà che non offre molto culturalmente. Quando mi è capitato di incontrare qualche giovane, mi è sempre stata rivolta la parola, anche solo per sapere di dov’ero, come mi chiamavo, io non mi sono mai sottratta perché li capisco, ero così anch’io alla loro età, solo che io potevo scegliere, cioè potevo dare un indirizzo alla mia vita, qui per scegliere ci vogliono molti soldi e davvero pochi li hanno. Vorrei poterli aiutare tutti e mi accorgo che il mio apporto è una goccia nell’oceano, quante cose si potrebbero fare se ognuno di noi rinunciasse a qualcosa a favore di chi sta peggio. Sto leggendo un libro di Padre Pedro, il missionario argentino che ha creato una comunità per le persone di strada vicino alla capitale, Antanarivo. Lui ha praticamente passato la vita qui, i suoi insegnamenti mi sono stati utili, spero di riuscire ad intervistarlo prima di partire. Sì, perché sono anche una giornalista freelance e in questo periodo ho cercato di documentarmi sulla storia di questo paese, dal punto di vista politico ed economico per poter scrivere qualche articolo, non solo sull’attività del Progetto Valentina, ma anche su altro, così ho iniziato una collaborazione con un sito molto interessante, il Caffè Geopolitico, dove potete trovare i miei articoli, ho cercato anche di aggiornare il sito dell’associazione, qualcuno mi ha detto che avrei dovuto scrivere un blog, ma francamente avrei faticato a trovare il tempo e le energie. Eh, sì, questo non è un paese per vecchi…
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